L’albero in omaggio al coraggio delle donne dell’Iran
All’ingresso del Circolo degli Artisti per la Mostra “I mille volti ai Antigone”
Colleegamento testo “ANTIGONE. Da Tebe, la Fonte di Edipo, a Pisa, la Torre della fame
Collegamento Video: lettura dell’Autore - Viaggio in Grecia
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ALLEGATI
La storia dell’ “Antigone” di Sofocle
da “Storia del teatro greco” a cura di Massimo Di Marco, Carocci
Polinice, figlio di Edipo, con un esercito di Argivi ha cercato di scalzare il fratello Eteocle dal trono di Tebe, accusandolo di non rispettare il patto di alternanza precedentemente concordato. La spedizione tuttavia non ha avuto successo: i due fratelli sono morti l’uno per mano dell’altro, e Creonte, che ora governa su Tebe, ha interdetto la sepoltura di Polinice, reo di essersi mosso in armi contro la sua stessa patria.
Decisa a opporsi al decreto, invano Antigone cerca di convincere la sorella Ismene a collaborare con lei per dare la giusta sepoltura al loro comune fratello: Ismene, infatti, non vuole trasgredire la legge e, anzi, obietta che si tratta di un piano folle, che condurrà Antigone alla morte. Ma l’eroina, delusa e irata per la viltà della sorella, rimane ferma nel suo proposito.
Appare Creonte, che ribadisce al coro dei vecchi Tebani le ragioni politiche del proprio decreto. Giunge, trafelata, una sentinella che era di guardia presso il corpo di Polinice, e informa che qualcuno, non visto, ha sparso simbolicamente della polvere sul cadavere e ha compiuto i riti funebri. Creonte, furioso, ordina di catturare il colpevole. Dopo l’intermezzo di un canto corale, la sentinella ricompare, trascinando con sé Antigone, tornata a portare a termine i sacri riti presso il cadavere e colta sul fatto.
Creonte e Antigone si scontrano in un agone in cui alle ragioni della polis, sostenute dal sovrano, l’eroina contrappone le ragioni della philìa e le leggi “non scritte degli dèi”. Antigone viene condannata a morire rinchiusa in una grotta, nonostante prima Ismene e poi Emone, figlio di Creonte e fidanzato della fanciulla, tentino di intercedere in suo favore.
Antigone si avvia, dolente, verso la grotta-prigione. Solo il sopravvenire di funesti presagi e l’intervento chiarificatore dell’indovino Tiresia, che rivela al re che gli dèi non approvano il suo decreto e si apprestano a riversare la propria ira sulla sua stessa famiglia, inducono Creonte a tornare sui propri passi. Il re acconsente ora a concedere gli onori funebri a Polinice e a liberare Antigone, ma è troppo tardi.
Come racconta un messaggero, Antigone si è suicidata, ed Emone, scopertone il corpo, si è parimenti ucciso. Euridice, moglie di Creonte, appresa la nefanda notizia, entra ammutolita nella reggia e si impicca. Creonte disperato, comprende di essersi reso responsabile della morte della propria famiglia e rientra, prostrato, nella reggia.
Il conte Ugolino e la Torre della Fame
Dante. Inferno, Canto XXXIII
Breve pertugio dentro da la Muda,
la qual per me ha ’l titol de la fame,
e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,24
m’avea mostrato per lo suo forame
più lune già, quand’io feci ’l mal sonno
che del futuro mi squarciò ’l velame.27
( …)
Già eran desti, e l’ora s’appressava
che ’l cibo ne solëa essere addotto,
e per suo sogno ciascun dubitava;45
e io senti’ chiavar l’uscio di sotto
a l’orribile torre; ond’io guardai
nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto.48
Io non piangëa, sì dentro impetrai:
piangevan elli; e Anselmuccio mio
disse: “Tu guardi sì, padre! che hai?”.51
Perciò non lagrimai né rispuos’io
tutto quel giorno né la notte appresso,
infin che l’altro sol nel mondo uscìo.54
Come un poco di raggio si fu messo
nel doloroso carcere, e io scorsi
per quattro visi il mio aspetto stesso,57
ambo le man per lo dolor mi morsi;
ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia
di manicar, di sùbito levorsi60
e disser: “Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia”.63
Queta’ mi allor per non farli più tristi;
lo dì e l’altro stemmo tutti muti;
ahi dura terra, perché non t’apristi?66
Poscia che fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,
dicendo: “Padre mio, ché non m’aiuti?”.69
Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid’io cascar li tre ad uno ad uno
tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi,72
già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che ‘l dolor, poté ‘l digiuno”.75
Quand’ebbe detto ciò, con li occhi torti
riprese ’l teschio misero co’ denti,
che furo a l’osso, come d’un can, forti.78
Ahi Pisa, vituperio de le genti
del bel paese là dove ‘l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,81
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona!84
Che se ’l conte Ugolino aveva voce
d’aver tradita te de le castella,
non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.87
Innocenti facea l’età novella,
novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata
e li altri due che ’l canto suso appella.
Il video “Antigone, figlia di Edipo re di Tebe”
Il video è ispirato al racconto-monologo pubblicato nell’antologia “Le Sconfinate”, Carmignani, e riportato nelle presente pubblicazione: si trova su YouTube (https://www.youtube.com/watch?v=krOSIhEPsYA).
Il racconto è letto dall’autore, Roberto Mosi, ed è illustrato con le immagini di un viaggio dello stesso autore in Grecia, nel 1984.
La trama del racconto. Un gruppo di studenti del Liceo Classico “Galileo Galilei” di Pisa sta per mettere in scena questa tragedia nella loro città, in piazza dei Cavalieri, davanti al palazzo della Carovana, o dei Cavalieri, dove ha sede la Scuola Normale Superiore. Sulla bianca scalinata di marmo a doppio rampa del palazzo, saranno rappresentate le scene della tragedia animate dal coro e da Antigone con gli altri protagonisti; la scena finale, però, dopo la condanna di Antigone, da parte del re Creonte, a morire di fame nella grotta fuori della città di Tebe, sempre nella piazza dei Cavalieri, ai piedi della torre Gualandi – o della Muta, dal fatto che in passato venivano rinchiuse le aquile allevate dal comune di Pisa durante il periodo della muta delle penne – dove furono imprigionati e lasciati morire di fame il conte Ugolino della Gherardesca e i suoi figli e nipoti, episodio di cui parla Dante Alighieri nel XXXIII canto dell’Inferno: La bocca sollevò dal fiero pasto/ quel peccator … Nel racconto-monologo si immagina che i giovani pisani compiono un viaggio di studio in Greca, a Tebe, per incontrare Antigone e prendere ispirazione per il loro spettacolo che andrà in scena nella piazza della loro città, fra il palazzo della Carovana e la torre della Muta.