Ho avuto la fortuna di assistere nel nuovo Auditorium all’opera di Gluck “Orfeo ed Euridice” che ha inaugurato il Festival del Maggioo Musicale Fiorentino. L’opera era diretta dal maestro Daniele Gatti con la regia Pierre Audi, Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, Compagnia di Danza di Arno Schuitemaker. Orphée era interpretato da Juan Francisco Gatell, Amore da Sara Blanch, Euridice da Anna Prohaska.
E’ un nuovo incontro con il mito di Orfeo che avevo g’à approfondito in occasione della mostra organizzata dal Gruppo “Officina del Mito” al Circolo degli Artisti Casa di Dante “Orfeo chi? Metamorfosi di un mito” (marzo 2019), con il poemetto “Orfeo in Fonte Santa”, Ladolfi 2019, e con l’omonimo video realizzato da Virginia Bazzechi (indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=vIr8cLJC-fk ). Fra i diversi caratteri che ricorrono con il personaggio di Orfeo, in questo caso era stata privilegiata quella del cantore, la cui testa cantante è portata, insieme alla lira, dalle onde, sull’isola di Lesbo: il tema è quello del suono e del canto che conquistano la natura: Orfeo arriva al cuore della natura grazie alla sua arte , e attraverso quest’arte la natura entra nel linguaggio e diventa poesia.
Nella rappresentazione del Maggio Musicale Fiorentino Orfeo è lo sposo di Euridice che con il suo canto sfida le forze infernali. E’ importante seguire la storia di questa celebre opera “Orfeo ed Euridice” di Gluck andata in scena per la prima volta a Vienna nel 1762. Lo spettacolo, nella storia dell’opera, dà il via alla riforma del melodramma condotta dal compositore tedesco insieme al librettista Ranieri de’ Calzabigi. Dopo decenni di ripetizioni meccaniche del modello metastasiano, l’opera seria italiana sembrava aver raggiunto il capolinea tradendo la sua dimensione astratta nel susseguirsi continuo di recitativi secchi e arie con da capo. Quest’ultime, poi, erano diventate da tempo il terreno prediletto di castrati e primedonne per sfogare acrobazie vocali d’ogni sorta in barba alle naturali esigenze del dramma. Abusi musicali che la riforma gluckiana intese abolire riportando la musica “al suo vero ufficio di servire la poesia”. Nell’Orfeo tutto è infatti improntato a un nuovo clima di chiarezza, razionalità ed equilibrio grazie anche a un libretto articolato in lunghe scene animate da versi sciolti e lirici in luogo dell’inveterato binomio recitativo-aria con da capo. Dodici anni dopo, Gluck rimise mano alla partitura e presentò una seconda versione dell’opera, in francese, sulle scene di Parigi: Orphée et Euridice su libretto di Pierre-Louis Moline, che debuttò il 2 agosto 1774 all’Académie Royale de Musique. Anche se nell’Orphée è mantenuto in linea di massima l’impianto originario, vi sono tuttavia alcune aggiunte e trasformazioni significative pensate per compiacere il pubblico francese.
Il direttore Daniele Gatti, nelle interviste rilasciate, ha spiegato a proposito dell’Orphée francese rispetto all’Orfeo italiano: «ha un testo che ritengo più intrigante e vorrei dire anche aulico e per me, più abituato a un repertorio verdiano o a Wagner, rappresenta una sfida molto stimolante affrontare adesso Gluck. In questa edizione non useremo strumenti originali né prassi barocche, ma ci avvicineremo il più possibile allo spirito della metà del Settecento e soprattutto alla volontà di Gluck, il quale nella sua rivisitazione dell’opera, dalla prima a questa versione, la arricchisce nella strumentazione allineandola molto con il gusto francese dell’epoca, modernizzandola. […] Tra l’altro la buca d’orchestra della sala Mehta è perfetta per un organico orchestrale come quello di Orphée et Euridice e lo spazio scenico, seppur ridotto, è quanto mai adatto per enfatizzare l’aulicità della versione francese – e qui Pierre Audi ha fatto un lavoro eccellente per enfatizzare questo aspetto». Quanto al regista Pierre Audi, al suo debutto al teatro del Maggio e anche lui al debutto col titolo, benché abbia affrontato altre opere di Gluck, è felice di poter lavorare su un libretto in francese del quale, da madrelingua, può cogliere molte sfumature; ha parlato dell’importanza simbolica che il mito ha tramandato sino ai giorni nostri, nonostante la crudeltà che lo permea, e ritiene si possano avere dubbi sulla linearità del lieto fine: «Orphée, devastato dall’improvvisa perdita dell’amata sposa Euridice, sfida gli dei a concedergli un viaggio negli Inferi per riprenderla. Gli Dei impongono una sola condizione: sulla via del ritorno alla vita, Orphée non deve voltarsi a guardare Euridice negli occhi. Il loro drammatico incontro rivela il tumulto del loro amore, la sua intensità ma anche la sua fragilità, come fragili sono tutte le relazioni umane appassionate. Orphée si gira e perde Euridice una seconda volta. Il mito greco non si arresta qui e, mentre si dispiega in varie forme, finisce sia tragicamente che poeticamente. L’opera di Gluck si conclude con Amore che libera Orphée dal suo tormento e riporta in vita Euridice, suggerendo che l’Amore è una forza che perdona, nonostante tutto. Nel XXI secolo è difficile accettare una lettura drammatica così lineare e semplicistica ma, esaminando da vicino testo e partitura, possiamo vedere emergere dietro le parole e la musica un thriller psicologico molto più sofisticato di quanto si pensi e una fine molto meno lieta del previsto. L’opera è incentrata su un potente trio d’amore: Orphée, Amore ed Euridice. Chi è Amore? Nell’opera è una seducente voce libera – uno spirito libero – che è chiaramente un’alternativa alla personalità terrena e possessiva di Euridice. Orphée, l’artista, è un uomo con un ego pronunciato, prigioniero e dipendente da questo triangolo amoroso, uno specchio della sua personalità possessiva e una droga per le sue insicurezze […]. Credo che i capolavori del passato debbano essere immaginati nuovamente per il nostro tempo, esaminandone i molteplici significati e approfondendo l’analisi dei personaggi del dramma rappresentato. Nella mia produzione siamo andati a ritrarre tre esseri umani complessi, un tempo incatenati tra loro, in un viaggio alla scoperta di sé stessi; un viaggio che li libererà da quelle catene. L’esito dell’opera di Gluck è davvero felice perché la libertà che trovano alla fine è stata conquistata attraverso la lotta e l’accettazione reciproca, e non attraverso il possesso reciproco».
La realizzazione di questa opera, nella maniera ora illustrata, incanta, meraviglia, affascina e il pubblico fiorentino con lunghissimi applausi ha approvato, entusiasta, le scelte del regista e del direttore.