Ogni anno all’inizio dell’estate ritorno alla “mia” spiaggia di Baratti, sotto la città etrusca di Populonia, come ho fatto la settimana scorsa: puntualmente trovo sulla sabbia piena dei rosticci degli antichi forni, qualche novità che mi sorprende riguardo agli scavi che periodicamente vengono effettuati da parte della Soprintendenza archeologica e da gruppi delle Università di varie parti del mondo.
È un impegno di ricerca costante, a partire dall’arenile, in un’area così ricca di testimoniane etrusche, romane, delle invasioni barbariche e della presenza di prime comunità cristiane. Seguo di solito da lontano, dalla mia città, i risultati di questi studi che sono riportati dai giornali e dalle riviste e quando mi capita di raggiungere le rive del golfo di Baratti, vado in traccia dei segni lasciati dagli ultimi scavi.
È il rituale di ogni anno all’inizio delle vacanze, un incontro ravvicinato con mondi di altri tempi, con altri uomini, la loro storia, i miti, le leggende. Clamoroso l’incontro di questo anno: nella parte della spiaggia che normalmente frequento, assiepata di ombrelloni e di famiglie, accessibile anche ai cani, nelle vicinane della fonte di San Cerbone e dell’omonima chiesetta, ho trovato un cantiere di scavo ben delimitato da transenne e cartelli, con al centro i resti di una strada romana costruita con i resti del materiale proveniente dai forni di fusione del ferro, in gran numero presenti nella zona, al tempo degli etruschi e dei romani. Sui cartelli la fotografia ripresa da un drone che mostra la direzione della strada, dalla città di Populonia all’estremità del golfo, dove sopra la scogliera si alza la villa dei Mulini; sempre sui cartelli le fotografie del ritrovamento di tombe con i resti, si presume, dei corpi di schiavi.
Sono testimonianze che emozionano; da parte mia, poi, sono immediati i collegamenti con il nostro immaginario, così fervido in una zona con i caratteri che conosciamo, intorno ai quali ho cercato di costruire il “mio” mondo di emozioni e di storie poetiche, che rivive nella mia raccolta Navicello Etrusco. Per il mare di Piombino (Il Foglio). Ritorna alla mente la poesia (pag. 38):
Lo schiavo
Bufere d’acqua, di vento.
La follia sconvolge il golfo.
Ferite profonde
alberi abbattuti
radici contorte nell’aria
Il temporale scioglie
la notte, la melma
dei ruscelli uccide
le creature del mare.
Le frane hanno dissepolto
la città dei vivi.
Sepolture scoperte.
Lo schiavo: ancora
la catena al piede.
I versi poi del poeta romano Rutilio Namaziano, dal poema “De Reditu”, ricordo della sosta della sua nave nel golfo di Baratti, sotto la città di Populonia, nel ritorno da Roma alla sua terra d’origine, la Provenza, sono sempre presenti nella nostra memoria:
Restano solo tracce fra crolli e rovine di muri,
giacciono tetti sepolti in vasti ruderi.
Non indigniamoci che i corpi mortali si disgreghino:
ecco che possono anche le città morire.
Rutilio Namaziano “Il Ritorno”, vv. 411- 414
Nel post “Golfo di Baratti, incontri di ieri e di oggi”, riportato nel sito nazionale “Literary”, alla voce “Occhio sull’autore” (http://www.literary.it/occhio/dati/mosi_rob/2020/28-il%20golfo%20di%20baratti/golfo_di_baratti.html ), riporto i vari contributi ispirati da questo splendido golfo, così ricco di bellezze naturali, di storia, di miti: insieme alla poesia, alcuni lavori riguardano la fotografia, il video, la pittura (grazie alla collaborazione con il pittore Enrico Guerrini). Si veda il video “Navicello Etrusco” (https://www.youtube.com/watch?v=-dn2XMqax0E&list=PLKs0dokJPvpjRmTI67DjY7a_uDzyC9NEF&index=45); l’e-book “Sinfonia per Populonia” (https://www.larecherche.it/public/librolibero/Sinfonia_per_Populonia_di_Roberto_Mosi.pdf ); l’e-book “Golfo di Baratti. Poesia e misteri” (https://issuu.com/deathofnoise/docs/golfo_di_baratti_last_1 ); il video di poesia/dipinta “Il viaggio del Navicello Etrusco” (https://www.youtube.com/watch?v=7d3gWDeXr1w).
Per questo tipo di impegno, mi è vicino il pensiero dell’amica, archeologa e poetessa, Flaminia Cruciani:
“L’archeologia e la poesia sono due dimensioni dell’uomo – scrive nell’articolo “Del riportare alla luce: archeologia e poesia”, in “Qui Libri”, settembre-ottobre 2012, p. 33-35 – che si muovono su un tessuto comune: la memoria, il tirare fuori dal profondo per riportare alla luce. L’archeologo è un investigatore, nella ricerca sul campo indaga, procede all’indietro rispetto alla direzione del tempo, fra stratificazioni, per resuscitare un passato perduto. Analizza, interpreta, restituisce significato, scavando testa il destino della materia e le sue qualità, il fenomeno della rovina verso cui tutto tende. Nel sottosuolo dell’anima i ricordi, le emozioni, sono deposte ma non subiscono le procedure del disfacimento … Ma se l’archeologo scava con la trowel [cazzuola], lo strumento del poeta, per tirare fuori e attingere all’abisso dell’esistenza, è la parola. … Parola e memoria involontaria sono alcuni strumenti dell’indagine interiore. Proprio Marcel Proust, nella sua opera La strada di Swann ci avverte della potenza di questo strumento capace di rivelare il nascosto …”
Mentre seguo questi pensieri da sotto l’ombrellone, in questo angolo felice di mondo, vedo gli archeologi al lavoro con le cazzuole e gli strumenti per i rilievi: sul giornale, poi, leggo l’invito a partecipare il prossimo sabato, ad una manifestazione sulla spiaggia, davanti agli scavi, per sollecitare la realizzazione di difese a mare per limitare l’impeto delle onde e preservare i resti della strada romana da una rapida distruzione.
Il mio cane, Gilda, sta seguendo con me, attenta, il lavoro degli archeologi e di tanto in tanto si mette freneticamente a scavare nella sabbia, buche profonde con le zampe anteriori: il mio timore è che raggiunga qualche antico resto etrusco (video: https://youtu.be/CNBrXHXqcWM ).
Potrebbe essere questo, comunque, l’inizio di una prossima raccolta poetica …