Camminare per Firenze cercando i versi di Dante

Ultima partedel percorso - Collegamento Literary

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COLLEGAMENTO LITERAY  21 dicembre

Domenica 13 dicembre 2020 – Penultima tappa

Alla Badia Fiorentina, all’angolo fra via del Proconsolo e via Dante Alighieri, il penultimo appuntamento, domenica 13 dicembre, per la passeggiata alla riscoperta della poesia di Dante per le strade di Firenze. L’incontro fra noi amici è stato festoso come sempre, costretti a stare gran tempo chiusi nelle nostre case per i paurosi tentacoli della pandemia e ad uscire con i volti seminascosti dalle mascherine, le voci ovattate, la luce degli occhi in risalto.

Il nostro nocchiero, Raffaello, da persona galante è arrivato con un mazzo di roselline bianche, invernali, che ha consegnato ad ogni amica del gruppo “Per ricordare che siamo, nonostante tutto, alla vigilia delle feste di Natale”, ha detto e poi ha annotato che la tappa sarebbe stata breve, meno di due chilometri con la sosta davanti a sette lapidi.

Ci siamo avviati per via Dante Alighieri e abbiamo così completato il percorso per le strade che formano un quadrilatero – di cui ci aveva parlato Renato nella tappa precedente – nel cuore del Sestiere di San Pier Maggiore, scenario di tante vicende della vita di Dante e della città, negli anni fra il Duecento e il Trecento.

“È sorprendente che Firenze abbia dedicato al poeta – ha commentato Odraccir - questa viuzza un po’ secondaria rispetto al centro della vita cittadina di oggi. Le altre città hanno fatto diversamente come, ad esempio, Verona che gli ha riservato una delle piazze più belle a due passi da piazza delle Erbe; per altro verso, alla famiglia dei Cerchi è stata riservata una piazza, una via ed un vicolo in questa zona, forse i Cerchi avevano appoggi particolari in Comune …”

“Non ti so dire sul Comune ma questa – ha ribattuto subito Elisa – è la via della memoria, dell’anima, di questo grande personaggio fiorentino. Qui Dante ebbe sicuramente la sua dimora, sposò Gemma Donati, nacquero i suoi figli; qui fu stilato il bando che all’età di trentasei anni lo costrinse all’esilio. La via in antico aveva un’alta dignità, era a fianco della celebre Badia Fiorentina, della chiesa di San Martino, la chiesa degli Alighieri, della Torre della Castagna.”

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Renato ha letto a questo punto con voce tonante la lapide posta sulla Torre della Castagna, al lato della piazza di San Martino: “Sono le parole di Dino Compagni dalla Cronica (I, iv): “E chiamoronsi Priori dell’Arti: e stettono rinchiusi nella Torre di Badia acciò non temessono le minaccie de’ potenti…”. Pensate di questo Consiglio, alla sommità del governo cittadino, fece parte per due mesi, nel 1300, anche Dante e pare che alcuni suoi interventi segnarono il suo destino di esule.”

Dall’altra parte della via, all’inizio di via Santa Margherita, si apre uno slargo, una piazzetta con la cosiddetta Casa di Dante, uno spazio urbano ricostruito alla fine dell’800. Sullo sfondo la Torre dei Giochi, al primo piano il Museo Casa di Dante che si articola in tre piani, ognuno dei quali ospita illustrazioni diverse, sulla vita privata del poeta, l’attività politica, l’esilio. Al piano terra sono le sale del Circolo degli Artisti impegnate in questo periodo dalla tradizionale mostra collettiva “virtuale” per le festività di Natale: il titolo che ha il patos di una invocazione, nel periodo della pandemia: “Esistiamo!”.

Vicino alla porta del Circolo, un antico pozzo ricostruito nell’Ottocento, sui gradini un attore, spesso presente, che prima della pandemia era circondato da turbe di turisti in arrivo da tutto il mondo. Quando lo abbiamo incontrato, era solo nella piazzetta deserta, indossava una veste rossa, sul capo la corona d’alloro, in mano una lunga penna d’oca e un librone pesante, la Divina Commedia; stava un po’ curvo e secondo la descrizione che ci ha lasciato Boccaccio nel suo “Trattatello in laude di Dante”, una maschera con il volto lungo, gli occhi grandi, il naso aquilino, il labbo inferiore sporgente rispetto al superiore e mascelle pronunciate. L’attore-Dante ci ha invitato ad avvicinarci e ha declamato con voce insolita, sapiente, potente, che superava la Torre dei Giochi e la vicina Torre della Castagna:

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura,

chè la dritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte

che nel pensier rinnova la paura!

Inf. I, 1-6

“È di grande suggestione ascoltare la poesia di Dante fra queste mura antiche, nel luogo, nel paesaggio in cui è nata questa poesia del movimento, del camminare per terreni accidentati alla ricerca di un nuovo senso della vita – ha tenuto a dire Airam Aizitel – esprime con forza la ricerca costante dell’uomo di fuggire dalle oppressioni, come accade a noi oggi in cammin per fuggire dalla selva oscura della pandemia! Ritornare alle fonti maggiori della poesia, può dare conforto.”

Abbiamo proseguito per via Dante Alighieri, passando davanti alla lapide con i versi “Io fui nato e cresciuto”, incontrata all’inizio del nostro percorso due mesi orsono, ci siamo soffermati subito dopo davanti alla vetrina del vicino ristorante, assai rinomato, “Pennello” (con una uscita posteriore su piazza Donati) dove secondo alcuni studiosi, è da collocare la casa di Dante (F. Cesati, La grande guida delle strade di Firenze, p. 25).

“L’ipotesi di questi studiosi – ha osservato Odraccir – è sorprendente! Nel luogo in cui oggi si servono le migliori bistecche alla fiorentina, c’era la culla di Dante e la camera dove, quando aveva diciotto anni, come scrive nella Vita Nova, Cap. III, si era ritirato tutto tremante dopo il saluto che le aveva rivolto Beatrice incontrandolo per la via.”

“1. Poi che fuoro passati tanti die, che appunto erano compiuti li nove anni appresso l’apparimento soprascritto di questa gentilissima, ne l’ultimo di questi die avvenne che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo, in mezzo a due gentili donne, le quali erano di più lunga etade; e passando per una via … mi salutò e molto virtuosamente, tanto che me parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine. 2. L’ora che lo suo dolcissimo salutare mi giunse, era fermamente nona di quello giorno; e però che quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire a li miei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebriato mi partio da le genti, e ricorsi a lo solingo luogo d’una mia camera, e puosimi a pensare di questa cortesissima.”

Poco dopo il ristorante “Pennello”, si apre un passaggio nell’edificio fra il numero 8 e il numero 10, chiuso da un pesante cancello. “Conosco bene la storia di questo passaggio – ci dice Hannah – veniva nominato, pensate un po’, il vicolo dello Scandalo e fu costruito nella prima metà del XIV secolo su ordine della magistratura fiorentina, per cercare di arginare l’insostenibile situazione di pericolo dovuta alla vicinanza tra le famiglie dei Cerchi e dei Donati, dalla cui rivalità erano nate le fazioni dei guelfi bianchi e neri. Queste due famiglie erano in lotta tra di loro e il fatto di avere le proprie case confinanti faceva temere che si arrivasse al punto di abbattere i muri interni di notte, per sorprendere i nemici nel sonno. Per questo fu deliberato di separare le proprietà attraverso un vicoletto che per via della sua funzione fu popolarmente chiamato dello Scandalo. Oggi il passaggio è chiuso, sbarrato: sarebbe bello, nel prossimo anno, per i Settecento anni alla scomparsa del poeta, approvare un progetto che preveda il recupero di testimonianze significative ed un sistema di pannelli, per orientare il percorso dei visitatori.”55-barca-sull-arno-al-ponte-vecchio

In fondo alla via, all’angolo fra via dei Cerchi e via dei Tavolini, la lapide:

Ciascun che della bella insegna porta

del gran barone …

da esso ebbe milizia e privilegio,

avventura che col popolo si rauni

oggi colui che la fascia col fregio.

Par. XVI, 127-128 e 130-132

In questa parte della cantica, Cacciaguida risponde alle domande di Dante con una riflessione sulla caducità delle cose terrene. Rievoca la storia di tante nobili famiglie del passato, molte delle quali sono ormai cadute nell’oblio. L’episodio che richiama la lapide riguarda Giano della Bella, che nello stemma di famiglia riportava quello di Ugo il Grande adornato da un fregio d’oro; egli, come principale artefice degli Ordinamenti di Giustizia del 1293, si era schierato contro l’antica nobiltà a favore del “popolo” fiorentino.

All’angolo di fronte della strada, sempre fra via dei Cerchi e via dei Tavolini, dove la famiglia dei Galigai aveva le sue proprietà, appaiono i versi:

… ed avea Galigaio

dorata in casa sua già l’elsa e ‘l pome.

Par. XVI, 101-102

Galigaio era il capostipite della famiglia dei Galigai, già cavalieri ai tempi di Cacciaguida, di cui la spada dorata era il segno. Ai tempi di Dante erano decaduti tra il popolo.

La tappa successiva del percorso di domenica passata, è stata in via Lamberti, dove sorgevano le case dei Lamberti:

… E le palle dell’oro

fiorian Fiorenza in tutti ‘i suoi gran fatti.

Par. XVI, 110-111

I Lamberti erano una delle più potenti famiglie di Firenze ed erano presenti nelle grandi imprese della città. Lo stemma della famiglia era uno scudo azzurro con sei palle d’oro. Paul ci ha voluto ricordare l’origine della celebre frase “Cosa fatta, capo ha”: “È da far risalire a Mosca Lamberti che decise l’assalto sanguinoso a Buondelmonte Buondelmonti sul Ponte Vecchio, fatto che diede inizio alle feroci lotte civili che durarono per lunghissimo tempo e si conclusero per i Lamberti con l’esilio.”

A questo punto del percorso Raffaello ha notato che presso le case dei Lamberti, al Canto di Pellicceria, era posta la sede dell’Arte dei Medici e Speziali, alla quale si iscrisse Dante nel 1295, Arte che associava oltre a medici e speziali, i merciai insieme ai filosofi, poeti, uomini di cultura e pittori. “All’epoca – ha sottolineato Raffaello – medicina e arti retoriche, poesia, letteratura, filosofia erano strettamente interconnesse e materie necessarie per la formazione degli stessi medici. L’Arte aveva come insegna la Madonna in trono con Bambino. Stamani, dopo via dei Tavolini, siamo passati a fianco di Orsanmichele e in una delle nicchie esterne, abbiamo visto la statua della Madonna della Rosa fatta porre dall’Arte dei Medici e degli Speziali.”

Ritornando sui nostri passi fino a via Calzaioli, per strade ingombre di gente e di addobbi natalizi, siamo arrivati, vicino a piazza San Giovanni, a via delle Oche, strada che prende il nome dal mercato delle oche che si teneva tutti gli anni. Nella parte della strada vicino a via dello Studio, la lapide:

… non dee pare mirabil cosa

ciò ch’io dirò degli alti fiorentini

onde la fame ne tempo è nascosa.

Par. XVI, 85-87

In questa parte del canto XVI Cacciaguida, rispondendo a Dante, sostiene che le cose terrene muoiono, proprio come gli uomini. Così accade per Firenze e per molte delle famiglie nobili.

A metà della via, su quella che fu la Torre dei Visdomini:

Così facean li padri di coloro

che, sempre che la vostra chiesa vaca,

si fanno grassi stando a concistoro.

Par. XVI, 112-114

Anche i progenitori dei Visdomini, afferma dunque Cacciaguida, onoravano la città con il loro virtuoso comportamento; questa famiglia godeva del privilegio e del dovere di amministrare i beni della curia fiorentina in assenza del vescovo o quando la sede era vacante. L’impegno si risolve ora nel sedersi in curia per ottenere guadagni personali. Elisa ha tenuto ad osservare: “Più lapidi fanno riferimento al Canto XVI, connotato per gran parte da una lunga citazione di nomi propri. Non si tratta di una rievocazione nostalgica del passato ma di un appello freddamente scandito, in un linguaggio essenziale, di nomi di famiglie, appello che esalta l’intenzione di condanna di uno sviluppo cittadino basato sulla avidità e sulla disonestà mercantesca di Firenze.”

Poco oltre, all’angolo con via Calzaioli, parole di fuoco anche per la famiglia degli Adimari, dove sorgevano le case di loro proprietà:

L’oltracotata schiatta e che s’indraca

dietro a chi fugge, e a chi mostra il dente

ovver la borsa, come agnel si placa.

Par. XVI, 115-117

Invettiva cruda e violenta contro il ceppo degli Adimari, di cui facevano parte le famiglie degli Aldobrandi, dei Cavaccioli, degli Argenti: la tracotante (oltracotata) stirpe che incrudelisce (s’indraca) contro coloro che hanno paura ma si fa umile come un agnello con chi oppone resistenza e offre denaro.

A fianco della lapide, una targa per ricordare il Canto della Neghittosa:

in questo luogo si apriva la Loggia degli Adimari, soprannominata la Neghittosa, forse perché ritrovo di oziosi e viziosi. Un’antica osteria prese lo stesso nome. Scomparse la loggia e l’osteria, sulla cantonata di via delle Oche scomparve la Loggia e al suo posto vi sono ora le vetrine di una delle vie più famose di Firenze.

Prima di salutarci Renato, ispirato dall’idea dell’antica osteria, ci ha regalato questo sonetto di Dante:

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

* * * * * *

Martedì 15 dicembre 2020 – Ultima tappa

Per completare il percorso ci siamo incontrati in piazza del Duomo all’angolo con via dei Calzaiuoli davanti all’Arciconfraternita della Misericordia, martedì 15 dicembre, al pomeriggio.

Paul ci ha fatto una sorpresa, nella sua casa di campagna aveva preparato, in omaggio al poeta, una corona d’alloro per ciascun di noi. Ci siamo raccolti davanti alla lapide apposta sulla destra dell’Arciconfraterita, sorta nel lontano 1200, con incisi nel marmo i versi della preghiera alla Vergine. Alle nostre spalle quattro ambulanze della Misericordia con gli equipaggi pronti, al servizio della città in questo difficile momento della pandemia.

“Vergine madre, madre di tuo Figlio

umile e alta più che creatura,

termine fisso d’eterno consiglio;

Tu se’colei che l’umana natura

nobilitasti sì che il suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si riaccese l’amore,

per lo cui caldo nell’eterna pace

così è germinato questo fiore.

Par. XXXIII, 1-9

“San Bernardo rivolge un’intensa preghiera di lode alla Madonna – è intervenuta Ariam Aizitel – e la invoca perché interceda per Dante presso Dio. Straordinario l’incipit della preghiera con tre antitesi. La prima, vergine-madre, propone il mistero del concepimento di Maria per opera dello Spirito Santo; la seconda ricorda come Cristo-Dio, creatore di tutti gli essere umani, quindi anche della Madonna (figlia), si rese poi figlio di lei incarnandosi per la salvezza dell’umanità; la terza pone in relazione l’umiltà d’animo di Maria, che proprio per questo divenne la più nobile (alta) di tutte le creature, degna di ricevere Dio nel suo ventre.”

Abbiamo letto insieme, con fervore, i versi di questa bella, celebre preghiera. Ci siamo spostati poi verso il Battistero, nella piazza che si andava illuminando di una luce sempre più intensa con i fari posti in alto sui palazzi, le luci dell’albero di Natale e del presepe, con le figure di terracotta rossa dell’Impruneta. Rari i passanti, dal passo veloce, lontana l’atmosfera di festa degli altri anni. Ci siamo soffermati alla prima delle lapidi poste alla base del Battistero, dal lato di via Martelli, incontrata nella prima tappa del nostro percorso, che esprime con poche parole la nostalgia e l’affetto dell’esule per l’antico tempio sacro al patrono di Firenze.

… nel mio Bel San Giovanni,

Inf. XIX, 17

Per passare poi all’altro lato del Battistero, di fronte al Campanile di Giotto e alla pattuglia dell’Esercito Italiano a presidio della piazza, dove per terra alla fine del selciato, sotto la balaustra di ferro, appare la lapide con i meravigliosi, straordinari versi che esprimono la speranza di Dante per una pubblica incoronazione a Firenze, in San Giovanni, e del riconoscimento del suo valore di “vate”: sarà il poema a mitigare i “cuori” crudeli dei fiorentini che lo tengono fuori “del bello ovile” in cui è nato:

Se mai continga che il poema sacro

al quale ha posto mano e cielo e terra,

sì che m’ha fatto per più anni macro,

vinca la crudeltà che fuor mi serra

del bello ovile ov’io dormì agnello,

nimico ai lupi che gli danno guerra;

con altra voce omai, con altro vello

ritornerò poeta, e in sul fonte

del mio battesimo prenderò il cappello:

Par. XXV, 1-9

“L’ ovile ha come centro simbolico il Battistero dove noi ora siamo – afferma Elisa riprendendo il filo del pensiero di Marco Santagata (Dante. Il romanzo della sua vita, p. 318) – Nelle sue aspirazioni San Giovanni è il luogo della rigenerazione personale, della Città e della stessa Chiesa. La Commedia è il testo profetico che potrà rovesciare il corso della storia e riportare Firenze ai buoni costumi di una volta, quando il Battistero e la statua di Marte “ ‘n sul passo d’Arno”, segnavano i confini di una comunità non ancora dilaniata dagli odi e dall’avarizia.”

“Sono contento – dice Renato – che il nostro piccolo viaggio per le terzine di Dante e le strade di Firenze, termini con il canto XXV del Paradiso, il canto della speranza, quella teologale e quella terrestre, che nasce dalla più profonda umanità del poeta, pellegrino del cielo infinito e innamorato del giardino terrestre, proteso alla gloria concessa dalla grazia e preoccupato anche della gloria mondana. Abbiamo nei versi della lapide davanti a noi, il richiamo ad una delle immagini più celebrate e alte della Commedia, l’autoritratto più noto di Dante, dell’exul immeritus che sospira con nostalgia verso la patria lontana. Quanto sono attuali questi sentimenti e queste immagini, per noi sradicati per la pandemia da una vita normale, per milioni di persone in fuga dalle loro terre!”

Interviene poi Odraccir: “Sì, sono felice del nostro camminare al ritmo della poesia di Dante, questa esperienza ha arricchito le mie conoscenze, mi ha fatto bene “vedere” l’uomo Dante nelle “sue” strade. Speriamo che il prossimo anniversario della sua scomparsa non si risolva nel trionfo di un inutile retorica ma permetta a tante persone di godere della poesia e dell’umanità del nostro grande concittadino.”

Era il momento di farci gli auguri per il prossimo Natale e di salutarci ma la nostra attenzione è stata attratta da un grande cartello luminoso sopra la Loggia del Bigallo, con la scritta: “La Luce ci unisce. Natale Fiorentino”. Paul ha avuto un’idea brillante: “Finiamo il nostro percorso al Ponte Vecchio dove in questi giorni Firenze onora il suo cittadino più illustre con la proiezione di luci e di immagini sul Ponte. È un po’ la luce del Paradiso di Dante che si riflette nelle acque dell’Arno.”

La proposta è stata subito accolta con entusiasmo e da via Roma, piazza della Repubblica, via Pellicceria e via Por Santa Maria, abbiamo raggiunto l’Arno, seguendo – ormai la lezione è stata imparato – il cardo di quella che fu la città romana. Per la strada, Raffaello ha comprato da un rivenditore filippino, delle magnifiche rose rosse per le amiche del nostro gruppo. Giunti a piazza del Pesce, ai piedi del Ponte Vecchio, Renato ha preso il bastone del comando per fare da regista. Ci siamo schierati, secondo il suo invito, lungo le spallette del Lungarno Archibusieri, sotto gli Uffizi, a fianco del Ponte Vecchio e abbiamo assistito allo spettacolo, incredibile, delle immagini di mille colori che si formavano sulle mura, sugli archi del Ponte, sulle acque del fiume, componendosi e scomponendosi nelle figure più celebri della Commedia (si veda il video “Dante e la luce di Firenze”: indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=T133rxbvDrc ).

Renato ci ha invitato a lanciare nel fiume le corone di alloro e le rose rosse e ad affidare allo scorrere delle acque dell’Arno i nostri migliori pensieri, nel segno della poesia, per rinnovare le nostre speranze di rinascita, di un nuovo anno libero dalla pandemia, pieno di fraternità fra gli uomini.

Nel momento in cui le luci dei proiettori hanno disegnato di centinaia di stelle il Ponte Vecchio, Ariam Aizitel, Hannah ed Elisa hanno letto dai loro libri ad alta voce, i versi che chiudono le tre cantiche.

Ariam Aizitel, dall’ Inferno, Canto XXXIV, 133-139:

Lo duca e io per quel cammino ascoso

iniziammo a ritornar nel chiaro mondo,

e sanza cura aver d’alcun riposo,

salimmo su, el primo e io secondo,

tanto ch’i’ vidi, de le cose belle

che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo.

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

Hannah, dal Purgatorio, Canto XXXIII, 139-145:

ma perché pien son tutte le carte

ordite a questa cantica seconda,

non mi lascia più ir lo fren de l’arte.

Io ritornai de la santissima onda

rifatto si come piante novelle

rinovellate di novella fronda,

puro e disposto a salire a le stelle.

Elisa, dal Paradiso, Canto XXXIII, 139-145

ma non eran da ciò le proprie penne:

se non che la mia mente fu percossa

da un fulgore in che sua voglia venne.

A l’alta fantasia qui mancò possa,

ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,

sì come rota ch’igualmente è mossa,

l’amor che move il sole e l’altre stelle.

“Sì, ha sospirato Renato, abbiamo bisogno di poesia e di

amore!.”

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