Dai porti chiusi alle “porte chiuse”: difendere i paesi dagli intrusi … (o no!)

Un racconto dall’Antologia “Raccontare Campiglia” 2019, “per uno scatto di umanità”

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“PORTE CHIUSE”

“Parlava con voce tonante nella sala del consiglio comunale, dall’alto del suo scranno di sindaco, dando di tanto in tanto un’occhiata alle pagine che aveva scritto nei giorni passati. Per lui era un passaggio importante nella sua carriera, o meglio, nella sua missione di sindaco, eletto con uno straordinario successo sulla base di un programma sulla sicurezza della città.

Stava parlando già da mezz’ora nell’aula gremita di cittadini di tutte le età, alcuni con cartelli: “Vogliamo vivere tranquilli!”, “Via gli zingari dal Fossone”, “Le case popolari ai campigliesi!”. Fino a quel momento si era limitato ai fatti accaduti: furti nelle case, una rapina, facce strane in giro. Era partito dalla definizione del quadro internazionale e dai difficili rapporti con i comuni vicini, quelli della val di Cornia, piuttosto egoisti nei loro interessi, lontani dal difendere i valori della tradizione. Passi in avanti erano stati fatti sulla via della sicurezza: era stato raddoppiato il corpo dei vigili urbani, si erano iniziati i lavori per rafforzare l’antica cinta muraria della città e ogni angolo delle vie era stato munito di telecamere collegate con la stanza del sindaco. Bisognava andare avanti.

D’altra parte i cittadini avevano aderito con entusiasmo al suo programma: vi erano state assemblee affollate con la partecipazione di rappresentanti delle forze dell’ordine, di educatori, di psicologi ed erano state formate pattuglie di ronda che giravano giorno e notte per il labirinto delle strade medievali. Il pericolo era, piuttosto, quello di evitare, la notte, scontri fra le ronde che scambiavano gli altri come malintenzionati.

Il sindaco arrivò alle proposte che gli stavano più a cuore: rafforzare le ronde e farle girare in maniera parallela, per evitare gli scontri, chiudere le porte della città la notte, acquistare droni che consentissero di fotografare dall’alto le macchine in arrivo, fornire a tutti i partecipanti alle feste, una tessera, detta dell’amicizia, con la fotografia, installare un sistema di altoparlanti sugli edifici più alti, per lanciare allarmi, avvisi di pericoli in arrivo.

Concluse così il lungo discorso: “La notte, miei cittadini, le porte chiuse!”

Le proposte furono approvate con entusiasmo in mezzo agli applausi dei presenti. Il sindaco aveva ancora una volta la conferma che era in piena sintonia con l’anima del suo popolo.

Una delle pattuglie di ronda era formata da un gruppo di giovani, amici e amiche, che avevano visto dapprima l’impegno come una cosa affascinante e divertente, un gioco. Nei giorni successivi, nelle sere di veglia per le strade, i discorsi si fermavano spesso sulla situazione della città: li aveva colpiti, in particolare, la decisione di chiudere le porte ogni sera, proprio quando era il momento di incontrarsi nei locali sul mare.

All’improvviso si fecero strada idee nuove: bisognava rompere l’assedio della paura. Nei giorni seguenti successero fatti strani: una notte, gatti neri con le code fosforescenti, saltarono fra le gambe delle pattuglie di ronda, che corsero via, in fuga e, in una sera di nebbia, un grande cervo attraversò solenne piazza della Repubblica e scomparve giù in basso, verso via Roma. È da notare che, il giorno dopo, l’ortolano denunciò la scomparsa del ciuco dalla stalla, nel suo campo.

Si era steso su Campiglia Marittima un manto di paura insopportabile, un’atmosfera diversa da quella che si respirava nei paesi vicini.

Il sindaco e il parroco convennero che si trattava, senz’altro, di fatti diabolici e che era necessaria una processione con la Madonna per attraversare i luoghi dove il diavolo si era manifestato. Così una sera della settimana successiva partì dalla Propositura di San Lorenzo, una solenne processione, con la banda in testa. Il percorso previsto si allungava fuori della cerchia delle mura, fino al cimitero e alla Chiesa di San Giovanni.

Al ritorno della processione, la porta a Mare era chiusa, sbarrata.

Il sindaco, battendo sopra con i pugni, cominciò a urlare: “Chi è l’imbecille che ha fatto questo scherzo? Gliela farò pagare!” Poi mandò il capo dei vigili a vedere le altre porte ma erano tutte chiuse. Imprecò, maledisse: “Qui ci vuole una mano dura, durissima.”

In quel momento si alzò dal campanile della chiesa una musica, ripresa da altri altoparlanti, sulle porte, le torri, le strade principali. Era un fiume di musica latino-americana, samba, bossa nova, cha cha cha, che in un vortice di note si diffuse in ogni parte, dagli angoli più bui del paese, alle luci di piazza della Repubblica, dalla terra al cielo.

La processione si sciolse. La porta a Mare si aprì d’improvviso, comparvero ridendo ragazze e ragazzi, che cominciarono a ballare e mescolandosi alla folla continuarono a ballare tutti insieme fino all’alba mentre la luna illuminava, giù in basso, il mare e i contorni delle isole lontane, inseguendo le luci dei traghetti di passaggio, ponti luminosi fra porti lontani, aperti.

Il sindaco rimase a lungo impietrito a guardare quello spettacolo di balli scriteriati. Scivolò poi per via Roma fino al palazzo del Comune e raggiunse il suo ufficio. Vide dalla telecamera piazzata sulla porta a Mare, i suoi concittadini impegnati, in quel momento, in maniera corale, nelle mosse ardite della samba. Tirò un gran pugno sulla scrivania e un rumore sordo, prolungato, riecheggiò nel silenzio delle stanze.

In quel momento ebbe un’illuminazione, doveva recuperare la situazione, guidare ancora il suo popolo. Pensò a una prossima mossa, quella di lanciare quanto prima una festa popolare per la riapertura delle porte della città, da celebrare con cibi e balli latino americani.

Così il mattino dopo ogni cittadino di Campiglia Marittima trovò sul cellulare l’invito per la festa.”.

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