Si è inaugurata il 2 marzo presso la Società delle Belle Arti – Circolo degli Artisti “Casa di Dante”, la mostra “Orfeo chi? Metamorfosi di un mito” organizzata dal gruppo di soci riuniti nella Officina del Mito. La ricerca promossa dal gruppo è iniziata tre anni orsono intorno al tema del mito, sviluppata su vari percorsi da quello delle forme espressive, alla trasformazione dei linguaggi, alla storia delle culture. Le scansioni sono state le mostre “I confini del mito” (2016) e “Labirinto fra caos e cosmos” (2018).
Quanto mai intrigante il mito di Orfeo scelto per la mostra, un mito al centro di tante pagine della cultura occidentale. Sono dieci gli artisti presenti all’esposizione fiorentina, impegnati in vari settori, pittura, scultura, fotografia, poesia, musica: Guido del Fungo, Enrico Guerrini, Roberto Mosi, Margherita Oggiana, Andrea Ortuño, Angiolo Pergolini, Silvia Ranzi, Andrea Simoncini, Umberto Zanarelli, Paraskevi Zerva.
L’argomento più evidente della mostra è la storia d’amore e di morte di Orfeo e Euridice, storia di fedeltà e di “follia amorosa” che si condensa e si polarizza tutta su di un verbo dalla straordinaria forza evocatrice: respicere. “E’ infatti proprio in quel voltarsi indietro che si interrogano nella mostra gli artisti dell’Officina del Mito”, così ha sostenuto la critica d’arte Virgina Bazzechi che, dopo il saluto del presidente Franco Margari, ha presentato con grande efficacia la mostra.
Questa è l’interpretazione più affascinante e conosciuta del mito ma è fondamentale porre l’attenzione sulla originalità della mostra che esalta la poliedricità del mito di Orfeo, un personaggio dai molteplici volti, modernamente complesso, poliedrico appunto, “intreccio compatto di otto mitemi” (si veda James Hillman Il complesso di Orfeo) che nel loro insieme comprendono i principali tratti di questa figura, che compaiono e scompaiono nel mondo della cultura di oggi ( e delle scienze psicanalitiche): Orfeo abitante della Tracia, cantore sulla nave degli Argonauti, incantatore degli elementi della natura e degli animali, sacerdote, poeta, con Euridice nell’oltretomba, misogino, dilaniato dalle baccanti; infine Orfeo il cui canto sopravvive alla morte, la sua testa trasportata dalle onde con la cetra fino all’isola di Lesbo, continua a cantare.
Ecco, il simbolo della mostra progettato dall’Officina del Mito è appunto un ottagono, posto al centro dell’esposizione. Per ogni suo lato, la figura di una testa realizzata da un artista, in onore del cantore, del poeta, del musico, immagini che rendono per sempre vivo fra noi il mito di Orfeo.
Questi motivi vivranno nell’incontro di sabato 9 marzo nella conferenza-concerto del pianista Umberto Zanarelli. La musica è stata, d’altra parte, presente anche nella serata inaugurale con un meraviglioso concerto di due flautiste.
Roberto Mosi, ha presentato nell’ambito della mostra, il progetto “Orfeo in Fonte Santa” composto da quattro opere: un pannello con una serie di fotografie scattate in Fonte Santa, località sulle colline di Firenze; il pannello “Capo e lira li accogliesti tu, o Ebro” con inciso il testo dalle Metamorfosi di Ovidio, libro 11° e foto di teste scolpite; il poemetto illustrato “Orfeo in Fonte Santa”; la testa (fotografia) di Orfeo/Fonte Santa, posta sulla struttura comune dell’ottagono. Il punto di partenza nella ricerca dell’autore è, per un verso, la possibilità della poesia di cogliere le energie primarie racchiuse nel mito e, per un altro verso, il ricorso alla fotografia, capace di cogliere “l’aurea mitica” che circonda determinate forme della nostra vita quotidiana e dell’ambiente nel quale viviamo.
L’obiettivo della macchina fotografica si posa su un angolo “felice” delle colline di Firenze, l’ambiente che circonda Fonte Santa, presso San Donato in Collina. Fonte Santa è posta al centro di un’area boschiva quasi unica in Italia per la presenza a sei-settecento metri di altitudine e a novanta chilometri dal mare, di una flora tipica del litorale che qui si conserva alimentata dalle correnti mediterranee che vi giungono lungo il corso dell’Arno. Questa particolarità e il conseguente clima temperato e dolce, rendono la zona “felice” in ogni stagione per l’aria salubre e balsamica che la anima. Il “canto” della Fonte è al centro di questo territorio.
Il territorio, denominato anche Costa del sole, è stato sempre abitato dall’uomo, da popolazioni etrusche e romane e ha visto sorgere castelli e ville nonché case coloniche con poderi coltivati a ridosso del bosco; era il punto di riferimento nel Seicento, dei poeti dell’Arcadia fiorentina; è attraversata da un sentiero – la via Maremmana – percorso nelle varie epoche, da pastori, mercanti, pellegrini: oggi da turisti, amanti del trekking, ciclisti ed altri. In questa area vi sono stati, fra l’altro, aspri scontri nel periodo della lotta partigiana.
La poesia, il canto, dagli accenti orfici, catturano i passaggi della storia di questa terra, il respiro della natura, le trasformazioni – o metamorfosi – delle figure che l’hanno abitata e l’abitano oggi. La ricerca fotografica è andata avanti, di pari passo, con la ricerca poetica che ha trovato forma nei diciotto canti del poemetto “Orfeo in Fonte Santa”. Il testo che lo raccoglie riporta, per un lato, in copertina, l’immagine della lira e, per l’altro lato, una testa scolpita nel marmo, la bocca piena di ciuffi d’erba, che rappresenta, per metafora, la vita che è – e che scorre, con il suono/il canto delle acque – in Fonte Santa.
Canto II. - Poemetto “Orfeo in Fonte Santa”
Il canto mi prende, mi porta
a cantare lo scorrere del tempo
nel bosco sacro di Fonte Santa,
accordo la mia voce al suono
delle acque, al respiro del vento,
al vibrare delle foglie, guidato
dalla musica del flauto d’oro.
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Brilla il vortice del silenzio,
alberi, pietre incantate, braccia
di luce scivolano per i rami,
riflettono nello specchio della fonte
figure, miti colorati.
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L’inganno si congiunge
alla conoscenza, appaiono
immagini sconosciute:
la fonte non sa di contemplare
sé stessa e il riflesso di un dio.
Canto XIV - Poemetto “Orfeo in Fonte Santa“
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XIV.
Incredibile la morte
fra i castagni, in file parallele,
colonne della Cattedrale,
rami alti formano archi.
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Il sole al tramonto incornicia
vetrate iridescenti, il mormorio
delle acque, il sillabare
della preghiera per Giulia,
agnello vittima della furia.
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Sangue, sangue sul verde
delle foglie, sul pavimento
della Cattedrale, le vetrate
aperte sulla città muta.
Firenze saprà, verrà qui
da San Donato a vedere,
a pregare smarrita
per la ferocia del suo figlio.
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Giulia sorride nella foto,
è tornata alla Terra,
più vicina a comprendere, forse
a perdonare. Il canto si perde
nelle volte della Chiesa.
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Con gli ultimi raggi del sole,
prima che chiudano le porte
della Cattedrale, giunge l’eco
del canto degli angeli
alto fino alle volte del cielo.
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La mostra “Orfeo chi? La metamorfosi di un mito” rimane aperta fino al 14 marzo: ad ogni visitatore il compito suggestivo di scoprire il “vero” volto del poeta della Tracia.