Bertgang, la recente opera di Luigi Fontanella, rimanda, come il resto della sua produzione poetica, alla duplicità moderno/classico.
Nella breve ora degli spiriti
una giovane ragazza uscì di casa
e si diresse con passo rapido e leggero
verso la dimora di Meleagro. Qui giunta
scomparve come d’incanto
fra le colonne della corte.
Una graziosa farfalla
aveva svolazzato un attimo prima attorno a lei,
farfalla dell’Ade messaggera
che l’invitava a rientrare… (Atto I, vv. 1-10)
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Inizia con questa visione il recente poemetto Bertgang di Luigi Fontanella - sottotitolo Fantasia onirica - pubblicato da Moretti & Vitali (Bergamo 2012). Fontanella è uno studioso che vive fra Firenze e Long Island, ordinario di Letteratura Italiana e direttore del programma d’Italiano presso la State University di New York. Poeta, critico e narratore, ha pubblicato numerosi libri di poesia, saggistica e narrativa. Dirige la rivista internazionale “Gradiva” e presiede l’associazione americana Italian Poetry. Tra i suoi ultimi volumi Pasolini rilegge Pasolini (Archinto, 2005, tradotto in varie lingue); Land of Time (Chelsea Editions, 2006); L’azzurra memoria. Poesie 1970 -2005 (Moretti & Vitali, 2007, Premio Laurentum); Oblivion (Archinto, 2008); Controfigura (romanzo, Marsilio, 2009).
Prima di rivolgere la nostra attenzione all’opera Bertgang, merita ricordare alcuni autorevoli commenti sull’esperienza di ricerca e di vita di Luigi Fontanella. Giuseppe Pontiggia ha definito la sua poesia, “poesia nomade” come la sua vita, “intersezione di Mediterraneo e Atlantico, incontro di traduzione di lingue, fusione di classicità e di avanguardia”. Milo de Angelis è sulla stessa lunghezza d’onda nel commentare la poesia di Fontanella. Rileva che si scoprono due facce nel suo “viaggio” attraverso il mondo della poesia, che si riconducono a uno solo: una faccia del moderno, legata a New York, e una dell’arcaico, nel “susseguirsi di paesaggi mediterranei, colti nel loro incanto temporale”. Questi due momenti, non si contrappongono, ma sono fra loro complementari. I fermenti classici del Mediterraneo, sono del primo versante “la radice misteriosa e feconda.” Si può dire, dunque, che Luigi Fontanella “ci conduce a una nuova e suggestiva idea del ritorno.”
Il lettore, stimolato da questi commenti, affronta curioso le pagine del poemetto Bertgang e inoltrandosi nella lettura, introietta e assimila le coordinate della vicenda, respirando in maniera immediata la felicità dei versi e muovendosi al passo leggero della protagonista. I molteplici veli del mito che anima l’opera, si agitano oltre una visione immediata, portano a scoprire le pulsioni dell’eros e rimandano a una miriade di riflessi come in una galleria di specchi. S’incontra una magia insolita della poesia, l’incisione di figure, diresti, vere, in carne e ossa, che si muovono nel respiro della musica.
La mattina dopo sotto un cielo
d’azzurro puro un cespuglio
di rose rosse sorrentine
mi spinsero a raccoglierne qualcuna: un gesto
che alleviava la mia mente.
Mi diressi verso Pompei con le rose … (Atto III, vv. 1-6)
I personaggi sono immersi nel paesaggio solare del Mediterraneo, con incursioni in spazi insoliti, dell’America di oggi. Il tempo ha come un movimento circolare, imposto più dall’alternarsi degli stati d’animo che da quello del succedersi degli avvenimenti. Il tempo e lo spazio, in definitiva, seguono la scansione del mito.
Ci troviamo in una delle circostanze nella quale – riprendendo da Eliot e in particolare dalla sua recensione aUlisse di Joyce – il mito dà ordine, forma, significato alla temperie delle vicende umane. Durante il ‘900 alcuni autori hanno riutilizzato temi mitici, pieni quindi di quella sacralità che la storia ha loro conferito, per mettere in evidenza il sentire dell’uomo nei tempi tumultuosi della nostra epoca. “Nell’usare il mito, nel manipolare un continuo parallelismo fra il mondo contemporaneo e il mondo antico Joyce sta seguendo un metodo che altri devono seguire dopo di lui [...]. E’ semplicemente un modo di controllare, ordinare, dare forma e significato all’immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea [...] invece del metodo narrativo, noi possiamo ora usare il metodo mitico” (in Opere, Bompiani, 2001, pp. 642-646).
Nel poemetto di Luigi Fontanella ritroviamo il senso profondo di questa convinzione, in una dimensione particolare che “sembra andare oltre le forze e il fascino visionario di un deja vu, verso un mito irrisolto, oltre la sfumata, eppure, viva e presente allegoria di una figura prepotentemente impressa nella sua mente di sognatore e di poeta, per quella fluida metamorfosi erotica che lo contraddistingue” (vedi N. Di Stefano Busà “Bertgang”, in Lindapinta, 2012).
Uno sguardo alla storia di questo racconto poetico. Tra le opere del primo Novecento, ha un certo rilievo il romanzo breve Gradiva di W. Jensen, noto, in particolare, per il saggio che gli ha dedicato Freud. E’ la storia di uno studioso d’arte classica (Norbert Hanold), che soffrendo una forte angoscia senza capirne il perché, ritrova pian piano il bandolo della proprio vita liberandosi dalla morsa che lo aveva condannato a “rimuovere” la forza di Eros. Gradiva appare come un mito moderno che ci mostra, da una parte, i rischi d’irrigidimento del pensiero astratto, teorico, votato solo alla purezza delle idee o delle forme, e, dall’altra, il suadente richiamo di quella grazia erotica che è forma in movimento, esistenza fluida. Affascinato dal modo di camminare, quasi danzando, di una figura di fanciulla riprodotta in un bassorilievo antico, Norbert la battezzerà nella sua mente Gradiva (“colei che avanza”) e la cercherà a lungo tra i resti delle rovine di Pompei fino a riconoscere nel suo “fantasma” la realtà in carne ed ossa di una ragazza da lui sempre amata senza saperlo, Zoe Bertgang.
Sedotto da questo mito, Luigi Fontanella ha composto un poemetto che sa evocarne le immagini e i punti salienti, lasciandoli fluttuare nell’onda aperta di un sogno personale.
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Dunque non greca o discendente
di Core, la viva e partecipe Zoe Bertgang
che mi parlava … Né greca né pompeiana
ma solo una compagna d’infanzia
a me assai vicina prima che divenissi
un insopportabile sofo, infermo
elucubratore, e perdipiù del tutto cieco
a ogni femminile grazia… (Atto IV, vv. 80-85)
Nutrito dalla profonda passione del poeta per le atmosfere magiche e surreali, questo “sogno ad occhi aperti” ci parla del carattere mitico del desiderio, ci cala nella dolcezza di quelle illusioni che possono dare respiro alla nostra vita.
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Roberto Mosi