Su i monti dell’Appennino non molto distante da Marradi, fra il Mugello e Firenzuola, in una calda giornata del mese di agosto dell’anno 1916, ha inizio un viaggio particolare che comincia con l’incontro fra il poeta Dino Campana e la scrittrice Sibilla Aleramo, in un piccolo paese della montagna, il Barco, formato da un pugno di case lungo la strada che dopo Scarperia, scende dal Passo del Giogo.
Sebastiano Vassalli scrive: «Il 3 d’agosto, giovedì, alle sette e mezza di mattina Dino è seduto su un muretto appena fuori del paese e guarda verso Scarperia la corriera “postale” da Firenze che si avvicina in una nuvola di polvere, che si ferma a pochi metri da lui. Ne scende – unico passeggero – una signora vestita di bianco con larghissimo cappello e un’andatura regale» [S. Vassalli, La notte della Cometa. Il romanzo di Dino Campana, Einaudi, Torino 1990, p.196.].
Sibilla ha letto i Canti Orfici e ne è rimasta affascinata. E’ celebre la poesia di Sibilla Aleramo (25 luglio 1916): Chiudo il tuo libro, | snodo le mie treccie, | o cuor selvaggio, | musico cuore…. Vi è stato un primo scambio di lettere tra i due ed è stato deciso il luogo e il giorno dell’incontro. Un recente libro dal titolo Un viaggio chiamato amore [S. Aleramo, D. Campana, Un viaggio chiamato amore, Lettere 1916-1918, a cura di B. Donati, Feltrinelli, Milano 2000.] – raccoglie le lettere che Dino e Sibilla si scrissero.
Ogni pagina di questo carteggio è la tappa di un viaggio senza soste, dall’attesa dell’incontro («Non sono più giovane, lo sapevate? Però ancora buona camminatrice – cotesta occhiata agli Appennini la darei volentieri, con voi»), ai giorni felici «fra la vera montagna dei solitari» e la «pura bellezza dei grandi boschi», all’incanto di Casetta di Tiara, paese sospeso fra i monti, in alto sopra il mare verde dei castagni, la notte vicino alle stelle («le stelle intorno a Casetta di Tiara», «nos étoiles»), all’incontro con la natura ed i colori degli «ultimi splendori della bella stagione».
Ma ci sono poi anche i giorni del dolore e della sofferenza, del lungo periodo dell’abbandono. «Come sapete ho la testa vuota» scrive Dino dalla casa di Casetta di Tiara, mentre fuori soffia un cattivo vento, «il vento iemale che empie questa Valle d’Inferno», infossata fra il buio dei boschi, verso il paese di Moscheta con i ruderi dell’antica abbazia vallombrosana. Il viaggio volge verso il suo compimento, come ricorda Dino con la poesia In un momento: / Erano le sue rose erano le mie rose / Questo viaggio chiamavamo amore / Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose / … .
Di questo «viaggio chiamato d’amore» si sono occupati, il cinema, la letteratura, il teatro. Crediamo che sia affascinante immergersi nel paesaggio che fu partecipe dell’incontro fra due personalità così diverse. Fra i possibili sentieri da seguire uno congiunge il Passo del Giogo con Moscheta, la Valle dell’Inferno, Casetta di Tiara; è poi possibile proseguire in alto, lungo il crinale, verso Palazzuolo sul Senio e Marradi. Per la nostra ricerca molto è affidato all’accortezza di avere a portata di mano il libro curato da Bruna Conti e, perché no, alla curiosità e alla voglia di parlare con i rari abitanti dei casolari e rivolgere domande del tipo: «Dov’era la trattoria al Barco che ospitava una volta i turisti?», e a Casetta di Tiara chiedere della casa presso la quale si fermarono Dino e Sibilla; e cercare i segni del paesaggio circostante, che essi ricordano nelle loro lettere.
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Da R. Mosi, Il paesaggio fra poesia e memoria, in “Testimonianze”, n. 423/2002