Roberto Mosi, “Itinera”, Prefazione di Silvia Ranzi, fotografia della copertina di Andrea Mugnaini, Masso delle Fate, Lastra a Signa (Fi) 2007, pp. 80.
Presentato alle Giubbe Rosse
* In versione e-Book, liberamente scaricabile da www.larecherche.it
Roberto Mosi, “Itinera”, Prefazione di Silvia Ranzi, fotografie di Andrea Mugnaini e dell’autore, LaRecherche.it, Roma 2010, pp. 89. E-book (pdf) scaricabile gratuitamente.
Presentato alla “Società delle Belle Arti – Circolo degli Artisti”, “Casa di Dante”, il 25 febbraio 2009; al Caffè Libreria “Cuculia”, il 18 novembre 2010.
Recensioni di:
Massimo Acciai – Giorgina Busca Giorgetti - Silvia Gigli - Sandro Gros Pietro - Giuliano Ladolfi - Maria Antonietta Mòsele - Luciano Nanni - Laura Pierdicchi – Silvia Ranzi -Valeria Serofilli (Testi in www.literary.it )
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Prefazione al libro di Silvia Ranzi
I viaggi di ogni tempo iniziano
dalla corte della mia infanzia
Il titolo “Itinera” rivela l’intima struttura di una parabola lirica che abbraccia la dimensione del “sogno”, antidoto invocato dall’incontaminata età dell’infanzia per mantenere viva quella speranza che permette al poeta di credere nel cambiamento e disinquinare una società complessa e caotica dai profili consumistici fagocitanti, dalle profonde solitudini individuali, dallo spettro di guerre incombenti all’orizzonte.
Messa da parte la pratica del linguaggio referenziale, dopo una lunga attività di Funzionario nell’Amministrazione Pubblica, Roberto Mosi riscopre “l’esercizio” della scrittura quale esperienza “iniziatica” per dare libero sfogo alla facoltà creativa, affidandosi alle parole per rivestire le emozioni sul piano fonico e semantico nel gioco allusivo di segrete analogie.
Nell’avvicendarsi di passato-presente-futuro si dipana la preziosa dinamica dei componimenti poetici in una poliedrica varietà di “occasioni esistenziali”, da cui emerge il profilo di una personalità che intende superare i limiti del reale verso una completezza della propria identità, nella dimensione incoercibile del “Viaggio”:
Ho fatto parte di un popolo
migrante sui treni
sopravvissuto alla guerra
alla scoperta di città rinate
“Peregrinare”, come dimensione dell’esistenza “in fieri”, non per mania di evasione, né per dimenticare, ma per conoscersi nel confronto con l’ambiente circostante vicino o lontano, passato o presente, purché viva nel ricordo, assaporandolo come parte di noi.
Incondizionata è l’affezione per la propria terra, la Toscana, nei suoi felici segmenti di vita campestre; con predilezione per Firenze, le piazze cittadine, le antiche vestigia di un passato glorioso, “Città cupola”, vertice armonico e prospettico nella verdeggiante valle coronata da dolci colline. Irrinunciabili i soggiorni estivi nella tersa solarità del litorale Versiliese, cullati dal mare al cospetto delle solenni Alpi Apuane.
Cadenzato è il delinearsi di un filone lirico trasversale, di ascendenza “Calviniana”, in cui si configura l’estro icastico di conferire “denominazioni metaforiche” alla fisionomia di città nel loro tessuto territoriale, ambientale, commerciale: insediamenti dell’abitare, luoghi di incontro, di scambio morale e culturale, cari per soggiorni abituali o visionati attraverso soste turistiche: “La città piazza”, “La città nave”, “La città porto”, “La città luna”, “La città dispensa”.
Preziosa per connotazioni visive è la sezione dedicata ad affascinanti viaggi nel Vicino-Oriente, in cui si alternano trasalimenti estatici a momenti di richiamo alla cruda realtà: dalla Tunisia meridionale, nella regione sahariana al confine con l’Algeria, fino al porto d’Aqaba sul Mar Rosso, crocevia di popoli confinanti e nemici:
L’acqua è torbida nel mare
di Aqaba, attraversata
da grigie navi da guerra
A contatto con queste civiltà esotiche, diverse per etnia, di fronte ad economie di sussistenza, esplorando entroterra montuosi con villaggi alveari dal fascino arcano, il poeta alimenta la sua esperienza umana e riscopre un salutare respiro d’infinito dinnanzi alla vastità della zona desertica con le sue spettacolari volte stellate:
Nella notte di stelle disteso
sulla stuoia, mi sento felice
vicino al cuore della terra
Una parentesi di italianità mediterranea il soggiorno in Basilicata, l’antica Lucania, visitando paesi situati sulle pendici del Monte Sirino nella valle del fiume Noce, foriero di nuovi incontri nella cornice di un’anedottica del peregrinare, avvicinando usi, costumi e problemi di integrazione sociale.
A chiusura della Raccolta, si spalancano i vertiginosi scenari di Capo Nord, in Lapponia, ai confini del mondo dove il sole tramonta a mezzanotte, in cui il poeta avverte la sproporzione tra la consapevolezza della precarietà dell’esistenza umana e l’esigenza di eternità insondabile: /una fredda paura m’invade/….
Lo smarrimento si attenua a contatto con il popolo “Sami” che conserva le ascendenze dell’antica spiritualità sciamanica, il cui fascino ridimensiona la sofferenza individuale in partecipazione cosmica:
Nel viaggio raccolgo
i dolori del mondo…
nel viaggio raccolgo
le speranze del mondo … per non rinunciare ad inseguire /sogni iridati di pace/.
Stupore, malinconia, fertilità di immagini, sentimento individuale e corale connotano il linguaggio poetico di Roberto Mosi in un ritmo lirico limpido, lineare e simbolico, aderente e travalicante il vero: disamina incisiva dei moti interiori, rituale nella rimembranza, ironico e riflessivo quando entrano in gioco tematiche sociali dell’etica quotidiana nelle contraddizioni dell’oggi, ma costantemente aperto alla possibilità di rendere “ideale” l’utopia attraverso “il sogno”.
Silvia Ranzi